
C’è un pezzo di mondo del lavoro di cui si parla troppo poco: i professionisti itineranti.
Manager di area, commerciali, formatori, consulenti, supervisori.
Quelli che ogni settimana macinano chilometri, girano filiali, incontrano clienti, affiancano team.
Quelli che passano anche 8–10 ore in auto, da soli, tra una riunione e l’altra.
Quelli per cui il “tempo in viaggio” non è mai davvero tempo perso, ma spesso non è nemmeno riconosciuto come lavoro a tutti gli effetti.
Chi sono i lavoratori itineranti? Secondo Eurostat, circa il 15% dei lavoratori italiani svolge trasferte regolari ogni settimana.
Nel commercio, logistica, servizi, vendite e industria questa quota arriva fino al 25% per manager di area e agenti di commercio.
Qualche numero che fa riflettere
Non solo guida: lavoro “nascosto” perchè mentre si viaggia si fa di tutto:
E poi, quando si rientra in ufficio (o a casa), resta:
Il rischio? La giornata finisce a tarda sera. O peggio: invade weekend e tempo libero.
Una trappola invisibile Il tempo di viaggio è tempo di lavoro? Formalmente, non sempre.
Organizzativamente, quasi mai pianificato bene. Mentalmente, è fatica che si accumula, senza sosta.
Cosa serve davvero?
✔️ Riconoscere il tempo itinerante come tempo di lavoro.
✔️ Formare i professionisti itineranti su time management specifico.
✔️ Usare strumenti digitali progettati per chi lavora in movimento.
✔️ Introdurre regole chiare sul diritto alla disconnessione.
✔️ Ripensare benefit, flotta aziendale e organizzazione delle trasferte.
L’ufficio non ha quattro mura: ha quattro ruote
Finché vedremo la scrivania come unico “luogo di lavoro”, continueremo a ignorare milioni di ore di fatica invisibile.
E continueremo a generare stress, errori, fughe di talenti.
Il futuro del lavoro passa anche dall’auto.