Parliamoci chiaro: quando sentiamo parole come "dati", "algoritmi" e "intelligenza artificiale" nel contesto delle risorse umane, c'è il rischio che la mente viaggi verso uno scenario distopico. Immaginiamo un futuro in cui robot gelidi decidono chi assumere, chi promuovere e chi licenziare. Ma fermiamoci un attimo, perché il futuro dell’HR è molto più interessante di così. Ed è già qui.
In parole povere, parliamo di People Analytics quando utilizziamo i dati per prendere decisioni più informate sulle persone in azienda. Si tratta di analizzare informazioni come la performance, il benessere dei dipendenti, i tassi di turnover, la diversità, e tanto altro, per ottimizzare le strategie di gestione del personale: prevedere comportamenti e anticipare necessità, fare in modo che le persone giuste siano nel posto giusto, al momento giusto.
Possiamo pensare al people analytics come un navigatore GPS per l’HR, che non solo ti dice dove sei, ma anche dove potresti andare e quali strade evitare per arrivarci.
C’è una grande differenza tra l’ottimizzazione delle operazioni in fabbrica e quella delle persone. Le persone non sono macchine. Non si tratta di raccogliere dati e numeri e fare semplici calcoli. Bisogna mantenere vivo un principio fondamentale: l'umanità. L'analisi dei dati deve rimanere uno strumento al servizio dell'essere umano, non il contrario. Se perdiamo di vista il fattore umano, rischiamo di trasformare l’HR in un processo impersonale, dove il potenziale di crescita di una persona si riduce a un algoritmo, anziché essere valutato sulla base del suo reale contributo e delle sue aspirazioni.
Come si fa a bilanciare la scienza predittiva con il cuore umano? Empatia, intuizione e cultura aziendale sono gli ingredienti segreti. Perché, alla fine, le decisioni prese grazie ai People Analytics non devono mai togliere valore al fattore umano, ma amplificarlo.
Un errore comune? Pensare che i datici raccontino tutto. Spoiler: non è così. I Big Data sono utili per vedere macro-patterns, ma mancano di sfumature, del contesto emotivo che le persone vivono ogni giorno. Qui entrano in gioco i Thick Data, dati qualitativi che offrono una prospettiva più ricca. Sono le storie che emergono dalle interviste, dai feedback, dalle conversazioni spontanee. People Analytics vincenti sono quelli che combinano entrambi: numeri e narrazioni.
Esempio: analizzare i dati potrebbe dirti che un dipendente ha raggiunto tutti i suoi obiettivi negli ultimi sei mesi, ma solo parlando con lui potresti scoprire che sta lottando con l’esaurimento o che non si sente valorizzato. Un algoritmo non può captare queste emozioni (almeno non ancora), ma un approccio people-first sì.
Aziende come Google o IBM sono maestre nell'uso dei People Analytics per prendere decisioni strategiche. IBM ha sviluppato un sistema che utilizza l’intelligenza artificiale per prevedere quali dipendenti sono a rischio di lasciare l’azienda, permettendo all’HR di intervenire prima che sia troppo tardi.
In modo simile, Google ha identificato, attraverso l’analisi dei dati, le caratteristiche dei manager di successo, migliorando di conseguenza la selezione e la formazione dei leader aziendali. Ma in entrambi i casi, ciò che fa davvero la differenza è la capacità di leggere tra le righe, di utilizzare i dati per migliorare l’esperienza umana, non per depauperarla.
L'HR del futuro non è una questione di freddi numeri, ma di integrare l'intelligenza artificiale con l'intelligenza emotiva. I dati possono aiutarti a capire tendenze e performance, ma alla fine, sono l'empatia e la comprensione del contesto che fanno la differenza. Le decisioni migliori sono quelle che combinano la precisione di un’analisi basata sui dati con la sensibilità dell’intuito umano.
Immagina un mondo in cui il potenziale di una persona viene potenziato, non limitato, dai dati. Un mondo dove l’HR non è solo il reparto che assume e licenzia, ma un hub di innovazione capace di fare emergere il meglio dalle persone attraverso una scienza che non dimentica il cuore.